18/10/2021
Dopo quasi due mesi, torna Giovanni Giorla con il suo nuovo ciclopensiero in cui ci racconta le sue peripezie al ritorno dal percorso della Madonna del Sasso.
C’eravamo lasciati quasi due mesi fa nella piazza di Alzo di Pella, indecisi sul da farsi perché nell’app de Le Salite del VCO, il checkpoint non era divenuto verde. Risoluti e categorici, non disponibili a esitazioni di sorta, decisi come non mai, cosa abbiamo fatto? Semplice: abbiamo trascorso due mesi ad Alzo a rimuginare su cosa fare! Nel mentre abbiamo ottenuto la cittadinanza onoraria, le chiavi non della città, ma del bagno pubblico della città, e le ragnatele si sono accumulate sui raggi della bicicletta. Con lo sguardo ammaliato dal lago d’Orta, assorti sulla panchina che ci ha ospitato come giaciglio di notti stellate, e come tetto di notti piovose, abbiamo avuto modo di riflettere e stilare una classifica di quelle che sono le insidie per noi ciclisti. Ecco la “Top five”:
1) Cagnolino che sbuca all’improvviso da strada laterale, seguito da lungo guinzaglio teso e, qualche metro dopo, vecchietta dal passo flemmatico.
La brusca frenata per non investire il cagnolino o finire sbilanciati dal guinzaglio, servirà solo a catapultarvi addosso alla vecchietta, voi sopra e lei sotto. Ella, sconvolta da quella che scambia per irrefrenabile passionalità, recuperata velocemente la dentiera si avvilupperà a voi con un abbraccio tentacolare, tentando di baciarvi o, quantomeno, marchiarvi a vita con un libidinoso (per lei) succhiotto. L’irreparabile danno si manifesterà in tutta la sua tragica conseguenza quando lei, sempre avviluppata, candidamente vi confesserà che ha appena perso la verginità. Intontiti dalla caduta, col collo irritato dal pruriginoso succhiotto, infastiditi dal cagnolino che, abbaiando e zampettando intorno, ha aggrovigliato il guinzaglio legandovi come una salamella alla vecchietta, balbetterete che siete già impegnato, prima di svenire, forse per la botta, forse per la tensione, forse per la notizia della perduta illibatezza. Fino a pochi minuti prima avevate innanzi a voi una strada libera ed eravate un ciclista inconsapevole e felice.
2) Automobilista che apre all’improvviso la portiera.
Se riuscite a schivare l’ostacolo, finirete sbilanciati sulla bancarella di un venditore di cocomeri. Un impatto duro, ma, dicono, meglio di quello con un venditore di fichi d’india. Non è dato sapere come sia possibile che, quando si apre all’improvviso una portiera, di lato c’è sempre un venditore di cocomeri. La stessa ISTAT certifica che, dopo tale evento, un elevato numero di ciclisti gira rintronato con metà cocomero in testa, mentre un’attività parallela dei venditori di cocomeri è la vendita di caschi da ciclista usati. Se invece non riuscirete a evitarla, cozzerete contro la portiera cadendo comunque dolorosamente, di natica o di spalla. In entrambe le situazioni comincerete a inveire con una certa veemenza contro l’incauto automobilista, tranne che in due eccezioni. La prima: dalla Smart, e non si sa come, esce un armadio barbuto di 2 metri di altezza per 1 metro e mezzo di larghezza, al quale vi affretterete a dare ragione per la vostra improvvida sbadataggine, allontanandovi poi, spingendo la bici con la ruota anteriore ridotta a una forma che assomiglia a una mezza vongola. La seconda: dall’auto sbuca una donna affascinante e avvenente alla quale, senza alcuna dignità ciclistica, bofonchierete che “Son cose che possono capitare”, nella speranza di un cordiale invito a cena. Approfittando della vostra patetica remissione come fosse un’ammissione di colpa, ella, sempre con perfido, ma ammiccante sorriso, vi chiederà i danni, trascinandovi in tribunale, spogliandovi di tutto, compresa la metà di un cocomero, residuo di un incidente precedente.
3) Tombini a griglia metallica parallela alla direzione di marcia.
Se notate una bicicletta solitaria, ritta, con la ruota incastrata in una griglia metallica, sappiate che non è una bici parcheggiata a una moderna rastrelliera. Dopo esservi fatto largo tra i soliti giapponesi e aver scattato anche voi le fotografie e i selfie di rito, curiosate accuratamente nei dintorni. In un cespuglio, in un fosso, abbracciato a un tronco o forse in un androne, dovreste trovare un povero ciclista, catapultato in avanti con violenza, da quella che in fisica è detta “energia cinetica”. Potreste anche non trovarlo, nei casi in cui lo sfortunato sia stato trasportato lontano dal luogo del misfatto, perché finito sul tetto dell’autobus 33 barrato, oppure dentro un bidone dell’immondizia poco prima che passasse il camion dei rifiuti. Se la strada è in piano, calcolate la distanza per trovare nei paraggi il ciclista con la seguente formula: velocità della bici moltiplicata per la corporatura del ciclista, il prodotto ottenuto va elevato alla sfiga al quadrato. Se invece la strada fosse in discesa, la formula è la seguente: velocità della bici moltiplicata per la pendenza della carreggiata meno la pendenza della torre di Pisa, elevata alla sfiga al cubo. Per una stima corretta bisogna considerare che il risultato delle suddette formule può variare anche in modo consistente se, al momento dell’impatto, il ciclista fosse finito su una buccia di banana, su del gelato o della gelatina caduti a terra o, sfiga elevata all’ennesima potenza, sulla vecchietta del punto 1.
4) Buche e canali laterali di scolo.
Una delle insidie più catastrofiche per un ciclista sono le buche che appaiono improvvisamente, nella più sventurata delle ipotesi in discesa e appena dopo una curva. A volte grosse come crateri, a volte sottili crepe, così precise che sembrano progettate da un geometra per poter incastrare al millesimo un copertone. Le più insidiose sono le buche nascoste dalle pozzanghere. Saltare in sella dopo una bella piovuta è considerato sinonimo di avventatezza. Nei contratti delle assicurazioni è esplicitamente previsto che “…non sono coperti i danni causati dal pedalare in una pozzanghera, così come nessuna copertura è prevista da chi si esercita nella “Posizione del ciclista” illustrata nel Kamasutra...” Non è chiaro come mai le due cose sono accomunate nello stesso comma. Se le pozzanghere sono piccole, di norma si evitano, se invece occupano l’intera carreggiata, si attraversano a proprio rischio e pericolo. Si narra che una pozzanghera di una famosa strada della nostra provincia abbia inghiottito per sempre un gruppo di campeggiatori tedeschi, sprofondati con dignità teutonica insieme alle loro bici. Pare che insieme alle ultime bolle emerse in superficie, sia affiorato anche un flebile lamento: “aiuten”. Non meno insidiosi sono i canali di scolo che, tutto sommato, altro non chiedono se non di svolgere il loro umile lavoro di pulizia delle strade. Fatto sta, e molti di voi lo potranno testimoniare, che a furia di porre asfalto su asfalto, ai lati della strada alcuni canali di scolo sono diventati dei veri e propri canyon. E’ risaputo che molte persone assembrano i pronto soccorso pensando di essere vittime di allucinogeni, cibo trattato con OGM, hamburger vegani o il residuo della sbornia della festa del loro diciottesimo compleanno, sebbene festeggiato trent’anni addietro: sostengono di aver visto, dall’altro lato di una strada, un casco scivolare in avanti a una certa velocità, non sapendo che è solo un ciclista che pedala lungo un canale di scolo.
5) Animali che attraversano improvvisamente la strada.
Questi sono casi contro i quali l’indifeso ciclista non può nulla. Tantomeno prendersela con chi, tutto sommato, sta semplicemente comportandosi secondo natura: vagare alla ricerca di cibo e rifugio. Sbattere contro un cinghiale, evitare una volpe o un ungulato, finire in sella a un dromedario scappato dal circo, sono, tutto sommato, insidie ordinarie della nostra provincia. C’è però un simpatico amico che da lustri, inevitabilmente disorienta il ciclista: il gatto. Tutti voi avrete notato l’incertezza del gatto ad attraversare la strada: parte da un lato e, mentre voi pedalate tranquilli perché lo vedete ormai a tre quarti del suo attraversamento, non più sulla vostra rotta, il gatto cosa fa? Quando ormai ha quasi raggiunto la sponda opposta, si ferma, vi fissa immobile per qualche istante e, repentinamente, scatta tornando sui propri passi, costringendovi alla classica inchiodata. Gira voce che a Brolo (paese dei gatti che abbiamo incontrato nella prima parte di questo resoconto), sono mesi che un caparbio ciclista e un gatto si sfidano. Il gatto va avanti a tratti per attraversare la strada, poi torna indietro, poi torna avanti, poi si ferma in mezzo alla strada. Il ciclista, ormai disorientato, ha provato più volte con alcune finte alla Maradona a dribblare l’ostacolo, ma questo ha ancor più confuso il gatto che non sapendo bene più che cosa fare, si ritrova dopo ogni movimento sempre di fronte al ciclista. Di notte, come bravi soldati in trincea, sospendono le schermaglie. E all’alba ricominciano. Prima o poi uno dei nostri eroi riuscirà nel proprio intento. Forse.
Tornando al nostro itinerario delle Salite del VCO, dopo due mesi abbiamo abbandonato Alzo tra la commozione generale. Probabilmente per colpa di un camion rovesciatosi in centro, colmo di cipolle di Tropea. Dopo aver attraversato San Maurizio D’Opaglio e lambito Gozzano, il ritorno verso Omegna si è rilevato una piacevole pedalata prevalentemente lungolago. Nonostante non sia contemplata, decidiamo di visitare anche uno dei borghi più affascinanti e caratteristici d’Italia: Orta, inclusa la salita al suo Sacro Monte. Ciliegina sulla torta di questo giro del lago semplicemente spettacolare, giro che si conclude nella ridente Omegna, punto di partenza e arrivo.
In conclusione, una puntualizzazione: sarebbe stata mia intenzione elencare molte altre insidie che attentano alla serenità di un ciclista, allungando la classifica a una “Top ten”, ma un impegno improrogabile me lo impedisce. Devo correre urgentemente in chiesa. Mi attende un matrimonio riparatore con Adelaide, vecchietta con cagnolino. Ex illibata.
Giovanni Giorla per Le Salite del VCO