02/07/2021
Quale tipologia di bicicletta scegliere? MTB, BDC, Gravel, BMX...ce n'è davvero per tutti i gusti e tutti i portafogli! Molto spesso però, ci si trova davanti a una non facile scelta. Con la sua ironia Giovanni ci descriverà cosa avviene in caso di SCI (Sindrome del Ciclista Indeciso). Non perdetevi il suo nuovo ciclopensiero!
Giunge sempre un momento nella vita in cui bisogna cambiare qualcosa, per necessità o scelta: il lavoro, l’auto, la casa, il detergente per l’ammollo, la suocera. Il cambiamento può esser semplice oppure un dilemma. Quest’ultimo è il caso della famosa SCI (Sindrome del Ciclista Indeciso), che affligge schiere di ciclisti e consente a psicologi e psicanalisti di avere sempre occupati i lettini, tanto che alcuni di loro si sono attrezzati con lettini a castello.
Quale tipo di bicicletta scegliere? MTB, da corsa, gravel, ciclocross, downhill, BMX, eccetera? E poi, “muscolare” o elettrica? Rotto il salvadanaio e impilati i pochi euro, bisogna chiedersi: “come e dove utilizzerò la bicicletta”? Servirà solo per le “Salite del VCO”, dove magari la carico in macchina e la scarico solo nei punti di controllo (bici pieghevole), per le proprie escursioni (bici con annesso tavolino da picnic), per svicolare nel traffico (bici daltonica per superare semafori rossi), per lunghi viaggi (bici appesa al soffitto del garage), per sfuggire all’agente dell’Agenzia delle Entrate (questa bici non esiste)?
La scelta non è facile. Cercando consigli sui vari siti internet, la risposta è sempre la stessa: dipende dal tipo di utilizzo e dai percorsi che si vogliono fare. E qui, come nel “Gioco dell’oca”, si ritorna al punto di partenza! Tralascerò la miriade di scelte da ponderare, molte delle quali dipendono dal direttore della banca che deve decidere se elargire il cospicuo prestito: telaio (in acciaio, alluminio, titanio o al carbonio), forcella, ammortizzazione, freni, deragliatore, cambio, corona singola o doppia, vista mare o vista giardino, meccanico bergamasco incluso nel portapacchi, eccetera, eccetera.
In fin dei conti c’è una sola certezza: dopo mesi passati su siti specializzati, aver frantumato gli zebedei ad amici, rivenditori, la cassiera del supermercato (che non ha mai pedalato in vita sua), il mago Oronzo e al parroco del quartiere (il Don Matteo locale, che, sfinito, ha provveduto a inoltrare domanda di scomunica nei vostri confronti), chiedendo loro consigli, bene, giusto il giorno dopo aver acquistato il modello della vita, dissanguato le finanze vostre e del parentado, ne uscirà uno nuovo che, guarda caso, è quello che stavate cercando, con la tecnologia innovativa che relegherà il vostro nuovo acquisto a un fossile di Jurassic Park.
Certo, una volta questi problemi non esistevano. Negli anni ’70 guidavo, sprezzante del pericolo, la mitica “Graziella”, prodotta dal 1964 dalla Carnielli e ai tempi denominata, pensate un po’, la “Rolls Royce di Brigitte Bardot”, perché la stessa ne subì il fascino e la pubblicizzò! Non immagino, però, cosa sarebbe accaduto se la si fosse andata a prendere, per una cena, a bordo di una Graziella.
La Graziella aveva piccole ruote da 20”. Arrivato a 32 anni, colto da un barlume di maturità, presi coscienza che le ginocchiate sul mento ad ogni pedalata non erano più sopportabili, per cui passai alla mia prima bici “adulta”. Dagli USA, dove erano nate nei primi anni ’70, erano arrivate le mountain bike. In Italia la prima a essere commercializzata fu nel 1984 la “Rossin”, ma si affermarono nel 1985 grazie al “Rampichino” della Cinelli. Nel 1991 acquistai un modello Bottecchia, di colore verde come il mio portafogli, quindi a rate. E con le ruote da 26” fu tutta un’altra musica, anche se dovetti adattare le rotelle, sempre le stesse dall’età di 3 anni. Sono un tipo che si affeziona alle proprie cose.
Ma torniamo al nodo della questione. Limiterò la personale scarna analisi alle MTB, da corsa e gravel.
Valutando una MTB, le mie vetuste ossa tremano, non tanto al pensiero della miriade di difficili sentieri tecnici (splendidi, invero) che offrono le nostre valli, ma per i tempi di recupero delle fratture causate dai tronchi che non vogliono saperne di spostarsi. Inoltre molte strade di montagna ormai sono asfaltate, per cui si dovrebbe avere anche un set di copertoni più stretti, affinché la modalità di velocità sul computer di bordo non si attesti perennemente su “bradipo”. Spese aggiuntive che un ligio direttore di banca, erogatore del prestito, mai approverebbe! Quest’ultima è chiaramente una scusa, perché ormai nella mente c’è solo l’immagine del tronco, tronfio e immobile.
Perché non optare, allora, per una bella bici da corsa? Ed eccomi, novello Bernal, Ganna o Caruso proiettato verso un futuro rosa! Già, peccato che noi baldi giovani siamo sovente afflitti da diversi problemi di sviluppo, principalmente legati alla schiena. Confesso, ma è una pura opinione personale, di non aver mai amato la posizione che si deve mantenere sulla bici da corsa, sebbene ne ho a lungo guidata una, e anche con soddisfazione. Le nostre valli offrono molti chilometri di invitanti strisce d’asfalto che raggiungono diverse splendide zone alpine, però è anche vero che percorrere una della tante strade “bianche”, sterrate o persino la “Ciclabile del fiume Toce”, con uno pneumatico largo 25 mm, è come trovare riparo da un temporale attaccati a un parafulmine.
Ed ecco allora farsi largo l’idea di una gravel: un compromesso tra una MTB e una bici da corsa. L’assetto del telaio consente una posizione più comoda, consona a lunghi viaggi, se poi col manico di un ombrello vi attaccate al reggisella del ciclista che vi precede, il viaggio sarà ancor più confortevole (ndr: i produttori non forniscono gli ombrelli con le gravel). Pare consenta di pedalare agevolmente sia su asfalto che su strade bianche, sterrate o semplici sentieri. Di norma non monta forcelle ammortizzate, per cui se i fuoristrada presentano molte asperità, la lasagna di Natale potrebbe farsi rivedere. Come tutti i compromessi, a qualcosa si deve rinunciare: meno veloce e scattante di una bici da corsa, meno stabile di una MTB, soprattutto su discese sconnesse.
A tal proposito, una leggenda narra di un ciclista salito piacevolmente, con una gravel, sulla sterrata che da Riale porta al Passo di San Giacomo (Val Formazza), insieme a un gruppo di amici tutti muniti di MTB. Vuoi per lo stato della sterrata, vuoi per le pendenze, la discesa risultò rivelarsi meno piacevole: quando giunse a valle era un tutt’uno con la bici, tanto vi era avvinghiato. Gli amici, non riuscendo a staccarlo, dovettero caricarlo ritto sul portapacchi superiore. Nemmeno una botta in testa contro la viva roccia della galleria di Pontemaglio (Valle Antigorio) lo divise dalla bici. Pare sia ora esposto al Museo del Ciclismo “Madonna del Ghisallo” in provincia di Como.
Alla fine di questo excursus, dove ho tralasciato per ora il confronto tra la bici tradizionale “muscolare” e le elettriche-assistite (oggetto di una prossima, semiseria, disquisizione), l’indecisione sulla scelta regna sovrana. Cala la sera e mi accingo a rimontare le rotelle sulla vecchia Graziella. La Bardot sarà ancora disponibile?
Giovanni Giorla per Le Salite del VCO